“Una passeggiata tra le grandi donne della storia”
- Gazzetta del Landi
- 28 apr 2023
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L’8 marzo viene ricordato in molti Paesi del mondo come la Giornata Internazionale dei Diritti Della Donna, giorno che celebra la figura della donna e la fine della disuguaglianza tra generi.
Nell’immaginario collettivo, però, questa giornata viene concepita come una festività e spesso non si coglie la ragione significativa che ha spinto molteplici nazioni nel mondo ad ufficializzare una giornata che esaltasse la continua lotta delle donne di riscattarsi nella società. Per questo motivo oggi affronteremo il percorso di alcune delle figure femminili più significative della storia.
A più di due mesi dall’anniversario della manifestazione contro lo zarismo da parte delle donne di San Pietroburgo nel 1917, abbiamo deciso di riparlare di questo importantissimo tema in una chiave completamente insolita e analizzare, epoca per epoca, diversi personaggi femminili appartenenti all’età classica fino alla storia contemporanea. Attraverso questa particolare linea del tempo cercheremo di capire come queste figure sono state in grado di affermarsi in una società prettamente patriarcale e maschilista.

Partendo dall’epoca classica greca non possiamo non citare la famosa poetessa Saffo, che visse intorno alla fine del VII sec. - prima metà del VI sec. a. C. In quel periodo le donne godevano di una condizione e di un’indipendenza che non avrebbero più conosciuto in età classica tra il V e IV sec. a.C., non che per loro però non fosse un obbligo il matrimonio. La stessa Saffo dovette rispettarlo, diventando la moglie di un certo Cercidas, un uomo ricchissimo che veniva dalle isole Cicladi. A causa delle sue poesie erotico-amorose dedicate alle sue allieve, Saffo divenne oggetto di scherni più o meno osceni e venne ampiamente criticata per il suo amore verso le donne. Occorre precisare che all’interno dei gruppi aristocratici, nella Grecia arcaica si stabilivano fra i giovani e adulti relazioni amorose. Queste pratiche erano naturali in un determinato ambiente ma non lo erano nell’Atene del V e IV sec. a. C.
Va detto che la – cattiva – reputazione che le è stata attribuita dagli autori dell’Antichità, non riguardava tanto i suoi amori quanto la sua indipendenza. Certo è che, denigrata per i suoi amori, la poetessa di Lesbo ha meritato la gloria per il suo talento, venendo definita nell’Antichità la decima musa.
Celebrata da Catullo e Ovidio, è stata tradotta fino ai giorni nostri da Marguerite Yourcenar che l’ha collocata ai vertici della poesia lirica che ha dominato il pensiero greco pre-classico.

Spostandosi sulle foci del fiume Nilo è impossibile non pensare all’ultima regina dell’Egitto, sulla quale sono state dette molte cose a proposito della sua incredibile bellezza.
A causa delle sue doti fisiche, Cleopatra fu spesso dipinta come seduttrice quando, invece, nella sua vita ebbe solo due amanti, tra cui Cesare che riuscì ad avvicinare per sbarazzarsi del fratello Tolomeo che si era rivoltato contro di lei. Cleopatra durante la dinastia tolemaica, era nota per essere una grande diplomatica, una comandante navale, una linguista e un’amministratrice attenta del suo regno. Grazie al suo sviluppato intelletto fu in grado di pensare ad un piano ingegnoso per accattivarsi Cesare.
La storia racconta che Cleopatra si fece avvolgere in un tappeto e si fece consegnare a Cesare come se fosse un dono. Quest’ultimo fu catturato dalla sua bellezza e decise immediatamente di diventare suo amante. La fece anche diventare sovrana cosa che, prima di quel momento, non era mai successa. Inoltre cambiò la legge in modo da poterla sposare anche se era già sposato ad un’altra donna. Quando Cesare venne ucciso, Cleopatra si avvicinò a Marco Antonio, del quale si innamorò profondamente. Dopo la morte di Marco Antonio, Cleopatra, piuttosto che farsi vedere sfilare per le strade come una prigioniera caduta in disgrazia, si uccise. Anche se il destino non è stato dalla sua parte l’ultima regina d’Egitto è ancora un simbolo che si oppone con forza al detto “bella ma non balla”...

A circa mille anni di distanza, in un periodo oppressivo come quello del Medioevo, durante il quale il potere era riservato agli uomini, poche sono state le donne in grado di fare la Storia. Matilde di Canossa fu una di quelle. A soli sei anni si ritrovò erede di un territorio che si espandeva fino al Lago di Garda, strategico perché punto di passaggio obbligatorio per i Pontefici che dovevano insediarsi a Roma e per gli imperatori che volevano essere incoronati. Ebbe modo di porsi come intermediaria tra il papa e l’imperatore Enrico IV(suo cugino) e non si risparmiò, arrivando a far umiliare Enrico IV sotto la pioggia davanti al suo castello, nel quale era ospitato il papa Gregorio VII. Si nota quindi l’atteggiamento deciso, intransigente che questa donna aveva. Riuscì persino a far incoronare il figlio di Enrico IV per farsi proclamare Vicaria Imperiale e solo negli ultimi anni della sua vita si allontanò dalla politica per dedicarsi alla preghiera.
Matilda è stata senz’altro una donna in grado di mettere a frutto il suo acuto ingegno e di usarlo per farsi strada in una situazione politica estremamente delicata.

Per quanto il Rinascimento sia un’epoca che condannava le costrizioni (specialmente ecclesiastiche), durante il quale assistiamo ad un’elevazione e a una nuova considerazione della figura femminile, in realtà la vita per quest’ultime non sembra essere affatto migliorata, specialmente durante il periodo della Controriforma.
Quando Artemisia ha solo dodici anni, dimostra un precoce e spiccato talento pittorico che matura nello studio del padre, già esponente di primo piano del caravaggismo romano. La sua attività presso la bottega del padre termina in seguito al processo avvenuto nel 1612, voluto da Artemisia e dalla famiglia in seguito alla violenza subita da parte di Agostino Tassi, suo maestro di prospettiva.
Dal processo il Tassi esce praticamente indenne, mentre i Gentileschi devono subire pesanti condanne morali, oltre alla crudezza dei metodi inquisitori del Tribunale.
Merita ricordare che Artemisia accetta di testimoniare sotto tortura, di provare la sua verginità precedente allo stupro, e viene sottoposta alla sibilla, supplizio progettato per i pittori, che consiste nel fasciare loro le dita delle mani con delle funi fino a farle sanguinare.
In seguito si trasferirà a Firenze, dove verrà accolta presso l’Accademia delle arti del disegno: è la prima donna a ottenere questo prestigioso riconoscimento. Riceve importanti commissioni dalle famiglie fiorentine (Medici compresi) e stringe amicizia con Galileo Galilei che nutre per lei grande stima, e con Michelangelo Buonarroti il giovane, il quale le commissiona una tela per celebrare il suo illustre antenato e intrattiene con lei una corrispondenza, che lei assolve avendo da poco imparato a scrivere.
La fama di Artemisia è grande presso i contemporanei, anche se la sua fortuna più recente è forse più legata agli aspetti drammatici e romanzeschi della sua vita, e al suo coraggio nell’affrontarli, che ne hanno fatto quasi naturalmente una eroina femminista ante litteram. Questa lettura però rischia di offuscare la forza con cui Artemisia si impone come pittrice, e su generi decisamente lontani da quelli su cui altre poche donne si erano avventurate sino a quel momento, limitata a nature morte, paesaggi, ritratti. Artemisia affronta la pittura “alta”: soggetti sacri e storici, impianti monumentali; con una totale padronanza della pittura, e abbracciando completamente la lezione caravaggesca, radicale nella concezione della scena, nel contrasto che descrive le forme e i colori, nella predilezione di un taglio ravvicinato che drammatizza il rapporto con lo spettatore. Artemisia è quindi pienamente cosciente della sua posizione di pittrice professionista e sa di poter esplorare anche questi temi più lirici.

Arriviamo ora a parlare del secolo dei Lumi e della regina illuminata per eccellenza, Maria Teresa D’Austria. Nell’uso corrente dell’italiano, alcuni termini che esprimono funzione o professione sembrano non avere forma femminile, percepita forse come adatta solo per definire ruoli “minori” – come nel caso di “segretaria”. Nel mondo germanico “Imperatrice” era sempre e soltanto la sovrana consorte, anche in ragione della “legge salica”.
Finché non arrivò Maria Teresa.
Aveva un forte orgoglio dinastico e una volontà di ferro. Doveva essere stata dotata di un’energia gigantesca per affrontare tutte le questioni riguardanti il suo impeto e contemporaneamente procreare e allevare sedici figli in ventotto anni. Un potente istinto materno la porterà anche a pensarsi come madre dei suoi sudditi, o di terre da cui la definizione di “Landesmutter”, sovrana madre di terre. Aveva uno sviluppato senso della giustizia, capacità organizzativa, fede nella forza dell’unità familiare e dello Stato. I suoi quarant’anni di regno furono un caleidoscopio di alleanze e conflitti, accordi e guerre guerreggiate su tutto lo scacchiere continentale allo scopo di consolidare l’impero. Maria Teresa fu considerata “sovrana illuminata” grazie alle numerose riforme che attuò durante il suo regno. Si basò sui princìpi del giurisdizionalismo, divise i poteri finanziario e amministrativo da quello giudiziario, accentrò l’amministrazione statale e conferì ad un Consiglio di Stato il ruolo di coordinamento. Nel 1774 introdusse l’istruzione primaria obbligatoria dai 6 ai 12 anni e finanziò le spese della pubblica istruzione con i beni requisiti alla Compagnia di Gesù, soppressa qualche tempo prima. Le sue lungimiranti riforme hanno dimostrato la forza di questa regina e bisognerà aspettare un altro secolo affinché compaia sulla scena una monarca ancor più potente e duratura, Queen Victoria, sovrana di un impero mondiale.
L’Ottocento ha rappresentato un punto di svolta per la condizione delle donne. Infatti prima di questo momento le donne non potevano cimentarsi nello studio approfondito e alla lettura poiché per loro era solo contemplata la cura della casa e della famiglia. L’accesso allo studio per le donne era considerato un rischio in quanto la cultura avrebbe concesso loro gli strumenti per ribellarsi della misera situazione in cui erano costrette a vivere.
Grazie al manifesto femminista di Mary Wollstonecraft del fine Settecento, le donne diventarono sempre più determinate e agguerrite riguardo la rivendicazione dei propri diritti.
L’Ottocento è anche il secolo in cui si afferma il romanzo, un nuovo genere letterario che rispecchia le caratteristiche della società borghese, riflette sui suoi vantaggi e le sue contraddizioni.
Le donne rappresentavano una parte consistente del pubblico che questi romanzi ottenevano; si verificò un aumento dell’alfabetizzazione maschile e femminile, si avviarono i primi movimenti di emancipazione politico e culturale e le donne riuscirono per la prima volta a ritagliarsi del tempo per la lettura.
Ma queste ultime non si limitarono solo ad assumere il ruolo di lettrici, anzi, ben presto furono molte le figure femminili a cimentarsi nella stesura di un testo o di un romanzo.
Una di queste fu proprio Charlotte Brontë, una delle scrittrici più famose del periodo romantico.
Charlotte fu la primogenita delle tre sorelle “scrittrici” e non ebbe una vita così serena.
Nacque da un’insegnante e un pastore protestante che le garantirono una buona istruzione presso un collegio, luogo in cui Charlotte perse prematuramente le sue sorelle ed in cui visse strazianti vicende che sconvolsero per sempre la sua vita. La vita di Charlotte venne profondamente segnata dalla perdita di tutti i suoi familiari, accentuando il senso di solitudine e dolore che portava con sé.

Charlotte diede vita a Jane Eyre basandosi sulle proprie esperienze di vita, mettendo in luce la protagonista donna che diverrà simbolo di un dolore comune. Jane Eyre porta con sé un’ideale di donna femminista che è consapevole ed indipendente al punto tale da intimorire chi la circonda e, al tempo stesso, proprio questa sua determinazione la rende amabile agli occhi degli altri. Jane rimane coerente con sé stessa: conosce i suoi limiti ed i suoi spazi ma è pronta a battersi quando vede venire meno la sua identità e dignità.
Jane è agguerrita e, alla fine del romanzo, riesce a superare le sofferenze con cui aveva sempre vissuto per raggiungere incredula, la sua tanto amata e ricercata felicità.
"Non può essere ch'io abbia tanta felicità, dopo tanto dolore. È un sogno; un sogno di quelli che ho fatto spesso, di notte, immaginandomi di stringerla ancora una volta sul mio cuore, come faccio ora; credendo di baciarla e sentendo che mi amava e che non mi avrebbe lasciato mai".

Il Novecento fu un secolo che sconvolse per sempre le sorti dell’umanità. Nei primi decenni, infatti, ci fu lo scoppio della Prima Guerra Mondiale e gli uomini furono costretti a partire per il fronte, abbandonando le proprie mogli nelle città. Le donne allora si decisero a sostituire i propri mariti e uomini nella società e quando questi ultimi fecero ritorno dalla guerra, esse non vollero tornare a rivestire il ruolo di “madre” e “badante”.

Per questo le lotte all’emancipazione femminile furono più sentite e ottennero maggiore riconoscimento.
In Italia tra le prime donne a sfidare la società e a far valere la propria identità femminile troviamo la repubblicana Anna Maria Mozzoni che fu una delle figure di maggiore rilievo in politica, combatté per i diritti delle donne e in particolar modo per quello di voto, (concesso alle donne solo nel lontano 1946), per il riconoscimento dei figli illegittimi, l’istruzione e la tutela delle lavoratrici.
Teresa Labriola fu invece la prima donna laureata in giurisprudenza a Roma. Divenne un personaggio di rilievo grazie ai numerosi scritti incentrati sulla condizione della donna come Del femminismo: come visione della vita, uno degli elaborati più conosciuti.
Anna Kuliscioff contribuì alla lotta per l’estensione del voto alle donne al punto che, grazie al suo operato, nacque il Comitato Socialista per il suffragio femminile.

Durante la Seconda Guerra Mondiale spiccò la geniale Palma Bucarelli, una donna fuori dall’ordinario e da ogni stereotipo, appassionata di storia e critica dell’arte. Palma visse in una società conservatrice ed arretrata ma, nonostante questo, si impegnò ad allestire mostre e ad aiutare il Paese a non disperdere il proprio patrimonio artistico. Riuscì infatti a tutelare e salvare numerose opere dal pericolo nazi-fascista.
Fu promotrice dell’imballaggio e del trasporto delle opere che si trovavano presso Palazzo Farnese di Caprarola e si assicurò personalmente della loro incolumità.

Vennero salvati dai bombardamenti circa 700 dipinti e 63 sculture. In seguito alla caduta del regime, Palma Bucarelli decise di trasportare clandestinamente le opere a Castel Sant’Angelo tenendole al sicuro dall’avidità tedesca. Palma fu la Direttrice e Soprintendente della Galleria Nazionale d’Arte Moderna che, insieme alla Galleria d’Arte Antica, ricorda ancora oggi il lascito di questa preziosa eredità dovuta a questa brillante donna che ha saputo comprendere l’importanza ed il valore culturale dell’arte in Italia.
Ad oggi vediamo realizzati molti degli obiettivi che i nostri antenati si erano prefissati di raggiungere.
Grazie alla collaborazione e al sacrificio di numerosi uomini e donne, oggi l’Italia è una repubblica democratica che incentiva all’istruzione e alla consapevolezza della nostra storia, del nostro passato dolente.
Eppure non bisogna lasciarsi ingannare dagli aspetti formali della società odierna; la libertà è considerata il principio cardine della nostra Repubblica e della Costituzione ma nonostante ciò, ancora è necessario trovare un modo per far udire la propria voce, la propria opinione ed identità in un Paese che promulga gli ideali di uguaglianza e libertà all’apparenza ma che nella realtà non tiene conto delle singole personalità dell’individuo che compone questo grande e complesso organismo.
È per questo che non bisogna vivere passivamente la propria condizione di cittadino, guardare i propri diritti e doveri sgretolarsi sotto l’indifferenza e superficialità e conformarsi ad una realtà crudele ed egoista.
Se ognuno ottenesse un briciolo di consapevolezza in più, ad oggi considereremmo le donne alla pari degli uomini, con potenzialità e qualità che non devono essere screditate, ma individuate e valorizzate.
Allo stesso modo è bene ricordare che l’8 marzo non è la Festa della Donna, bensì un giorno dedicato al ricordo del rigoroso operato di numerose figure femminili, che sta ancora portando i suoi frutti nella società odierna.
È doveroso proseguire sulle orme lasciate dai grandi giganti del passato e cimentarsi nella perfettibilità della condizione umana per far sì che ciò che rimane di questi personaggi non venga dissipato nell’ignoranza.
articolo: Costantini Michelle, Giansanti Ginevra
foto: google immagini
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