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Intervista a Guido Saraceni: mai adulto fu tanto giovane

  • Immagine del redattore: Gazzetta del Landi
    Gazzetta del Landi
  • 11 feb 2020
  • Tempo di lettura: 5 min

“Basta con questa storia che siete tutti uguali, siete tutti uguali per chi non ha occhi” (cit. Guido Saraceni).  È questa una delle tante perle con le quali il professore Guido Saraceni ha arricchito un suo più vasto discorso che si potrebbe definire “un trionfo dello scambio generazionale”. Infatti lo scorso 6 febbraio 2020, il docente universitario e scrittore Guido Saraceni è venuto nella nostra scuola per presentare agli alunni di alcune classi seconde e terze, e alla redazione della “Gazzetta del Landi”, il suo romanzo “Fuoco è tutto ciò che siamo”. L’incontro, avvenuto in una sublime atmosfera di reciproco rispetto dovuta probabilmente all’eccezionale e non comune capacità del docente di saper dialogare con i giovani, ha visto il professore rispondere alle innumerevoli domande proposte dai ragazzi riguardanti il libro, domande alle quali il docente, con grande predisposizione ed interesse, è riuscito a rispondere colmando pienamente l’apprezzata sete di conoscenza dimostrata dai nostri ragazzi. Dopodiché, il professore si è intrattenuto con gli alunni delle classi quinte per un’interessante lezione sulla nostra costituzione e sui valori su cui essa poggia. Terminata quest’ultima, la Gazzetta del Landi ha avuto modo di intervistare lo scrittore riguardo alcuni punti legati al libro che, dietro una trama apparentemente semplice e lineare, nasconde molti punti di riflessione sulla nostra generazione.

La prima domanda ci è servita a capire il significato del titolo del libro, “Fuoco è tutto ciò che siamo”, dietro al quale Saraceni ci offre l’insegnamento dello scrittore greco Plutarco, il quale affermava che i giovani non sono “vasi da riempire, ma fuochi da accendere”. Messaggio che l’autore del romanzo ha saggiamente voluto infondere in tutta l’opera, un’opera in cui i valori primi della gioventù quali l’audacia, il coraggio e la fresca intelligenza sono cantati come estrema bellezza di un’età fantastica, in cui l’unico limite che si ha è l’ambizione e la voglia di fare esprimendo se stessi perché, come lui stesso afferma, “l’animo se non brucia, non illumina”.


Rotto il ghiaccio, abbiamo iniziato a scandagliare alcuni aspetti strettamente legati alla trama e alle vicende narrate nel libro, come per esempio la figura di uno dei due protagonisti: Davide. Davide nel romanzo è un normalissimo ragazzo che frequenta l’ultimo anno del liceo scientifico. Ciò che però lo distingue è il suo distacco da alcuni cliché che accomunano i ragazzi della sua età, e ciò che forse più di tutto lo fa emergere è il fatto che non è iscritto ad alcun social. Alla luce di ciò la domanda che siamo portati a chiederci è: forse la figura di Davide, è una critica all’omologazione che ormai da anni è fortemente rimproverata alla nostra generazione? A questa domanda il professor Saraceni, anche se ci ha confessato di comprendere questa chiave di lettura, risponde convinto “no”. Infatti ciò che la figura di Davide, e anche quella di alcuni suoi amici che come lui sono personaggi particolari, vuole trasmettere nella sua diversità è proprio il messaggio contrario. La nostra è una generazione tutt’altro che omologata. Come detto all’inizio attraverso la citazione dello scrittore, infatti, la nostra generazione assume questa connotazione negativa solo per coloro che guardano dall’alto e con occhio distaccato, senza approfondire e senza voglia di scoprire le svariate forme di bellezza e diversità che ci distinguono. Probabilmente questo elemento che rende così difficile il processo di avvicinamento da parte dei più “anziani” nei confronti dei giovani deriva dal contesto storico in cui stiamo crescendo, ovvero un periodo in cui l’apparire e la forma sono più importanti della sostanza, ciò porta ad etichettare la nostra generazione come la generazione dell’immagine. Tutto ciò però, come spiega Saraceni, trova i suoi albori già in alcuni movimenti e concetti legati agli anni ‘80, come quello dei paninari, che imbrigliarono lo spirito capitalistico dell’epoca nel vestirsi con abiti firmati e all’insegna della lussuria. Stesso periodo in cui nasce anche la figura dello Yuppi che ama mostrare la sua opulenza e quella del politico –attore come Reagan o Schwarzenegger. Ciò va quindi ad attestare come questa caratteristica estetica che ormai è radicata e ci accomuna risale a molte generazioni a noi precedenti.  

Dopo questa attenta analisi, il professore ci mostra quindi l’antidoto da offrire ai nostri padri affinché essi passino dal criticare al comprendere; e lo fa facendo riferimento alle idee di un noto psichiatra, Franco Basaglia, il quale affermava che da vicino nessuno è normale o uguale all’altro. Spingendo così, non solo i più anziani, ma tutti noi a cercare il Davide che si trova nell’animo del prossimo.

Continuando con l’intervista, ci siamo soffermati su un altro aspetto, ovvero quello del rapporto che c’è tra il personaggio semi autobiografico di Giulio, professore della scuola di Davide, e i suoi alunni. Infatti Giulio è a sua volta un professore particolare e diverso, non ama le lezioni frontali, ha un suo blog, è molto attivo sui social e porta avanti un programma di counseling per i suoi studenti. Analizzando la figura di questo adulto capace di adattarsi alla realtà che lo circonda e che soprattutto è in grado di creare un legame cosi particolare con il mondo giovanile, siamo portati a chiederci: in un’epoca in cui i rapporti adulto-giovane sono effettivamente cambiati, soprattutto se ci focalizziamo sul concetto del rispetto per l’anziano, che va piano piano sempre più scemando, come ci si deve comportare? Sono gli adulti che si devono adattare a questa nuova forma di rapporto non più basata su un effettivo rispetto sacrale? O viceversa?  

A questa domanda il professor Saraceni ci risponde inizialmente ricollegandosi ad alcuni aspetti storici. Infatti facendo riferimento agli anni ‘50 e ad alcuni fatti annessi a questo periodo come la “Ius corrigendi” (ovvero il diritto del padre di famiglia di “correggere e punire”, anche fisicamente, le cattive azioni di moglie e figli) ci fa capire le derive di un’eccesiva importanza attribuita al rispetto, sfatando il concetto leggendario dell’età d’oro del rispetto delle generazioni precedenti. Continuando poi con i moti rivoluzionari del ‘68, ci ha fatto capire in che modo siamo arrivati al nuovo tipo di rapporto intergenerazionale a cui ora siamo abituati, facendo notare i pro e i contro di questo cambiamento. Infatti questo mondo così democratico in cui viviamo ha permesso di accorciare le distanze e di migliorare le capacità di comunicazione e di comprensione tra adulti e giovani. Ciò che però non va mai dimenticato non è il rispetto imposto per la figura dell’adulto in quanto tale, ma il rispetto per l’adulto in quanto fonte di saggezza, perché mostrando rispetto per l’adulto su può cogliere ed apprezzare la sua saggezza, traendo consigli ed insegnamenti.

Nel concludere l’intervista abbiamo colto l’occasione per imparare qualcosa che nel giornalismo e nel mondo dell’informazione odierno è fondamentale: la capacità di ripotare informazioni veritiere. Infatti in un mondo in cui tutti vogliono sapere tutto subito, spesso capita che per la fretta di far conoscere i fatti, i giornalisti o le testate giornalistiche, tendano a dare informazioni poco attendibili, come dimostra, per esempio, il fenomeno ormai diffusissimo delle fake news.

Un tratto distintivo dell’autore, e chi ha letto il libro se ne è sicuramente reso conto, è la capacità di descrivere situazioni e riportare informazioni in maniera verosimile (non a caso il punto di inizio della sua carriera letteraria fu proprio la stesura di una smentita che aprì gli occhi a moltissime persone su uno scandalo legato a Facebook). E quindi, considerato ciò, la nostra domanda nasce spontanea: “Come si può essere sempre corretti e attendibili nel fornire informazioni ai lettori?”. A questa domanda che cela un problema enorme nel mondo del giornalismo e ne rappresenta il suo oblio, il professor Saraceni ci risponde con molta semplicità, consigliandoci di uscire dai ritmi frenetici che ci circondano e di procedere lentamente e con molta attenzione nella ricerca e verifica delle fonti.

Conclusa l’intervista, dopo saluti e ringraziamenti, il professore si è congedato lasciando dietro di sé un’aula che, anche se vuota, è ora ancor più piena di insegnamenti e pregna di un sentimento di forte fiducia e speranza nelle giovani generazioni, affinché un giorno il Davide che è in tutti noi possa emergere con estremo ardore e consapevolezza.


Gabriele Romagnoli


 
 
 

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